Sono di nuovo qui in palestra a sudare come un cammello.  Vengo quasi tutte le mattine e mi sottopongo a sforzi estremi. Ma il bello della storia è che per fare tutto questo devo anche pagare la tessera di socio, l’abbonamento mensile e la chiave d’accesso al tornello. Se mi fermo a pensare un momento, credo che non lo avrei fatto nemmeno se qualcuno mi avesse sganciato mille euro. Perché allora lo sto facendo?

Non lo so, o forse sì lo so…  suppongo che lo faccia per essere più presentabile quando toglierò il maglione di lana pesante o il giaccone ampio taglia XL e indosserò magliette leggere di cotone e camicie di lino estive. Quelle, inesorabilmente, metteranno in bell’evidenza la massa adiposa che circonda il mio addome e che mi danno le sembianze di un maiale. Un suino, che arranca faticosamente solo per fare alcune rampe di scale. Quelle scale che appena una decina di anni fa, ed ero in splendida forma, salivo a due a due, come una gazzella. Diciamo che, allora, la mia taglia era “giusta” per la mia statura di quasi un metro e ottanta. Vestivo una 50 che corrisponde a una L. Mi sentivo bene con me stesso. Devo confessare, però, di non aver mai avuto un fisico atletico. Il grasso, quel poco che rivestiva il mio corpo, era ben distribuito. Poi, senza accorgermi, mi sono lasciato andare e l’adipe si è impossessato di me, senza darmi via di scampo.

Mi sono seduto oziando, e poi adagiato.

La morbidezza e la comodità del mio divano in pelle nera ha fatto il resto. E, come se ciò non bastasse, ho ceduto anche alle lusinghe dei variegati cioccolatini (al caffè, al liquore, alla nocciola…) che mi ammiccavano impietosi dal vassoio di cristallo appoggiato sopra il tavolo del salotto. È anche per colpa di quei “maledetti” che ho cominciato ad assumere calorie in eccesso. Per adesso, li ho fatti sparire: sono confinati nell’ultimo cassetto, in basso a destra del mobile. Così, ora, loro stanno lì, e non vedendoli, faccio finta che non ci siano più. Ma devo essere sincero con me stesso: la colpa non era solo di quelle dolcezze. Anche a tavola ho continuato ad assumere carboidrati e grassi in abbondanza. Questo solo per soddisfare la mia sfrenata golosità.

E ora, eccomi qua, in palestra, a sudare!

Il gruppo dei “sudanti” che mi fa compagnia è eterogenea, ma tutti sembrano avere il mio stesso problema. Tutti, chi più e chi meno, si affannano per raggiungere un peso forma che, nonostante gli sforzi, tarda ad arrivare.  Mi impegno, nonostante il clima sia decisamente estivo e cerco di essere fedele al piano di allenamenti che il personal trainer mi ha confezionato.

Con gli auricolari, che diffondono l’accattivante musica del Coldplay, eseguo il mio compitino. E, al ritmo di quella musica avvolgente, mi diverto ad osservare i personaggi che si affannano e sudano (come me).

Stamattina la palestra è affollatissima e il preparatore atletico - un fisico da fare invidia al David di Donatello - si affanna a destra e a manca per dispensare i suoi preziosi consigli.

Una signora bionda di circa quarant’anni (la ricrescita scura alla base dei capelli testimonia inesorabilmente che quel colore non le appartiene…), dalla carnagione eburnea e con il corpo tatuato, lo ha bloccato e parlano; mentre, lui dignitosamente, sta masticando alcuni gherigli di noce. Quella è la magra colazione che si concede il nostro preparatore atletico. Noi, invece, comuni esseri normali, in sovrappeso, per dare il via alla nostra giornata, abbiamo bisogno come minimo di un buon cornetto alla crema e di un caldo e schiumoso cappuccino.

Lei, la biondina con ricrescita, gli chiede chiarimenti e si sofferma con gli occhi languidi su di lui… sembra che lo stia divorandolo con lo sguardo. Che ci stia provando? - Forse.

Lui sembra voler scartare il suo approccio e con distaccata professionalità, elegantemente la schiva. Continua, però, a rendersi disponibile, argomentando su nozioni fisico-atletiche e dietetiche: terreno assai fertile su cui lui sa dispensare preziosi consigli.

Mentre elaboro queste considerazioni, ma se vi fa piacere chiamateli pure “pettegolezzi” tanto non mi offendo, con le gocce di sudore che mi stanno imperlando la fronte,  arriva con una mezz’ora di ritardo rispetto alle altre mattine Capitan Hook. Come si chiami, in realtà, non lo so, ma io lo definisco così a causa della sua postura un po’ricurva: assomiglia ad un gancio.

Il suo ingresso in palestra è discreto. È solito fare il suo esordio in punta di piedi, senza farsi notare.  Sembra quasi che si disinteressi al mondo colorato che lo circonda, ma il suo sguardo torvo è vigile, come l’occhio di un “grande fratello”. Segue tutto e tutti, ma senza darlo a vedere. Prima di salire sulla cyclette, lancia occhiate furtive a destra e a manca con il capo reclinato su di un lato. Come se volesse assicurarsi che, in quel preciso momento, nessuno lo stia spiando.

Beh! In effetti io lo sto facendo, lo osservo, ma senza farmi notare. Anch’io sto pedalando e distrattamente guardo il monitor della cyclette che trasmette le notizie del TG. Lui, incrocia i miei occhi e, per cortesia, gli faccio un saluto accennando ad un timido e affaticato sorriso. Di rimando, Capitan Hook  ricambia, alzando il viso coperto da una rada barba grigia: grigia come la maglietta che indossa. Il suo abbigliamento sportivo non è vivace e variopinto come solitamente sceglie chi frequenta la palestra. È vagamente tetro: come lui. Pantaloncini, maglietta e scarpe sono su toni rigorosamente funerei: grigio topo e nero. Il massimo dell’esaltazione cromatica è data da un logoro e scolorito asciugamano beige, appoggiato intorno al collo.

Così abbigliato, comincia a pedalare lasciando dietro di sé una scia di mestizia e di malinconia.

Anche suo figlio, un biondo trentenne curvo di spalle come il padre, fa parte di questo variegato esercito di sudanti. Non è che si discosti molto dall’atteggiamento di Hook, anche se, data la sua giovane età, ostenta maggiore baldanza e sicurezza. Si prodiga in esercizi con il bilanciere e intanto si guarda intorno con fare compiaciuto. Come se stesse aspettando che qualcuno dei presenti in sala attrezzi lo ammiri e gli dica: quanto sei figo. Ma nessuno se lo fila e, sotto la pressione dei pesi, lui, è comunque soddisfatto dei suoi deltoidi che si stanno gonfiando ad ogni sollevamento.

- Fate largo, sto arrivando! - Sembra voglia dire quando cambia attrezzo. Saltellando sulle punte delle scarpette ginniche, color fuxia, controlla la sua figura riflessa sugli specchi: e, soddisfatto, si rimira i bicipiti gonfi che escono dalla sua canotta giallo limone.

Al tapis roulant, una bionda signora sulla cinquantina abbondante (taglia XL), sta sudando come un pachiderma del Kenia immerso in una pozza d’acqua. Non me ne voglia, ma la stazza è quella… La massa grassa è ben distribuita in modo uniforme su tutto il corpo bianco latte e lentigginoso. E, nonostante i leggins e la maglietta attillata che la comprimono, l’effetto finale è quello di un ippopotamo al pascolo. Passeggia sul nastro e suda, lanciandomi occhiate furtive mentre sto eseguendo gli esercizi addominali. Non so se io le interessi. Ma non ho pensieri osceni nei suoi confronti; pur ammettendo che, se avesse qualche chilo di meno, non sarebbe affatto da buttare. Ha un viso interessante, capelli biondo/rossiccio raccolti sulla nuca con un elastico verde: come i suoi occhi che mi stanno osservando. I suoi enormi seni, come due meloni, continuano a ballonzolare e, mentre il suo passo accelera sul nastro, una riga di sudore scuro affiora sotto la sua canotta verde pistacchio.

Un nuovo personaggio si è aggiunto stamattina: un vero body builder con muscoli scolpiti da Michelangelo in ogni parte del corpo. I suoi addominali “a tartaruga” e la sua testa, volutamente rasata, dovrebbero mettere in fuga i presenti, ma non è così e ognuno nel suo piccolo continua a fare il proprio compito assegnato da Marco, il preparatore.

Lui, il “super muscolo”, se ne avvede, sorvola, e continua a saltare, con estrema agilità da un attrezzo all’altro sollevando pesi che a noi “comuni mortali”, solo a guardarli, incutono terrore. Attrezzi che sembrano usciti dal museo delle torture, e che lui affronta con naturale e distaccata freddezza. Come se il nostro “Maciste” potesse piegare tutto quell’acciaio e spezzare quelle catene.

Una ragazza esile e bionda, con i capelli lisci fino alle spalle, continua  imperterrita nei suoi esercizi senza degnare di uno sguardo nessuno, mentre tutti gli altri sono super affannati dallo sforzo costante. Di sicuro, i suoi diciannove anni le danno ragione. Continua a lavorare indefessa e velocemente, senza mai bere una stilla d’acqua e senza che dal suo gracile corpo di cerbiatto esca una timida goccia di sudore. Noi, invece, continuiamo a inghiottire gocce salate che colano inesorabili dalla nostra fronte. Non è sufficiente il sudario di spugna intorno al collo, per assorbire quella cascata che ci bagna…

Aaah! La splendida verde età!!!

Mi consolo, alla giovinezza ormai andata da oltre cinquant’anni, osservando una attempata signora (forse settanta e oltre).  Ma è una mia supposizione. Mi manca il coraggio di chiederle l’età: non è elegante chiedere l’anagrafe alle donne, soprattutto se avanti con gli anni. Ha un fisico segaligno, asciutto, ma la sua pelle è secca, floscia e cadente; esegue con meticolosità i suoi esercizi, seppur con la lentezza di un bradipo. Lei, non sta sudando come il resto della truppa: con quel ritmo lento appena percepibile è molto difficile sudare. Tiene i capelli  grigi legati e raccolti sulla nuca. Il suo portamento  è dignitoso e austero,  suppongo che da giovane sia stata una bella donna. Anche adesso lo è. Anche se i suoi muscoli sono ora allentati e le rughe sul volto hanno disegnato l’inesorabile trascorrere del tempo.

Vorrei accarezzarla, la sua dignità mi fa tenerezza!

Due cinesi, di  taglia piccola - bassa statura -, sono entrati proprio ora in palestra mentre stavo riflettendo su questa anziana signora. Non li avevo mai visti prima e mi hanno distolto dai pensieri gentili che stavano fluttuando nella mia mente. Cominciano subito alla grande: senza il necessario riscaldamento che serve ad armonizzare i vari muscoli del corpo. Affiancati, sulla panca, iniziano sincronizzati i loro esercizi addominali, rimbalzando su e giù come due palline da ping pong. Parlano tra di loro sghignazzando e masticando un “mandarino” che non riesco a decifrare.

Ma quello che mi ha stupito, ancora di più dei due, è stato quando sono rintrato nello spogliatoio per fiondarmi sotto una tonificante doccia. I due orientali si sono rivestiti in tutta fretta senza preoccuparsi di togliersi di dosso quel sudore e quel fastidioso odore di palestra che ti rimane incollato sulla pelle alla fine di ogni seduta (o sudata). Forse si vergognavano di noi occidentali, mettendo a nudo le loro nudità o i loro miseri pisellini…?  Mah…!

La seduta anche oggi sta volgendo al termine. Ho sudato abbastanza. Mi accorgo di essere arrivato a fine corsa quando trascino stancamente i piedi sul parquet. Quando le suole di gomma delle mie scarpette, iniziano a strisciare e a stridere per l’attrito: quello è il momento di smettere e di andare sotto la doccia. Ma domani sarò di nuovo qui: su questo finto parquet di rovere targato IKEA, e continuerò ancora una volta a soffrire.

E ogni giorno, sempre nuovi compagni di “sventura” continueranno a vivacizzare le mie sedute, fino al raggiungimento di una forma fisica che, nonostante gli sforzi, tarda ad arrivare.

© Franco Duranti - luglio 2016