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Per Pietro era come se non fosse mai successo niente. Le loro strade si erano divise dopo pochi mesi dalla nascita della loro unica figlia, Luisa. Lui imputava quella separazione a sua moglie, come se la malformazione con la quale la piccola era nata fosse solo colpa sua. Sì, perché lei l’aveva tenuta in grembo per nove mesi. E, secondo lui, Anna era la causa di quel difetto.

Avevano discusso e litigato perfino quando quell’innocente era in camera operatoria. Sembrava cosa di poco conto e il medico li aveva rassicurati. Il suo cuoricino presto avrebbe ripreso a lavorare normalmente.

Aveva solo sei mesi quando l’infermiera prelevò la piccola dalle braccia della madre. Il chirurgo quando entrò nella stanza aveva ribadito, ancora una volta, che a breve la piccola sarebbe tornata a sgambettare. Anna e Pietro rimasero fermi, a guardarsi come due sconosciuti. Dopo che l’infermiera se ne fu andata, chiudendosi la porta alle spalle, ripresero a insultarsi ancora una volta. Come succedeva da quando era entrata a far parte della loro vita. Lei lo prese anche a schiaffi. Non l’aveva mai fatto, ma quelle parole che Pietro continuava a vomitargli addosso non riusciva più a sopportarle. Ogni occasione era una sentenza contro di lei. Rimase spiazzato dalla sua reazione. Non aveva capito nulla di quello che era accaduto tra loro. Era solo accecato dal risentimento e dalla rabbia. E ne uscì dalla camera sbattendo la porta. Quella porta socchiusa poco prima con delicatezza dall’infermiera per non disturbare i loro pensieri e la loro intimità.

Pietro non ricordava più il tonfo di quella porta sbattuta. Però quella porta non si era più riaperta. La piccola Luisa non rientrò più in quella stanza e non si attaccò più al seno della madre.

Il chirurgo li convocò nello studio, per comunicare che c’erano state delle complicazioni. Luisa, purtroppo, non ce l’aveva fatta e Pietro durante quel drammatico annuncio non era presente. Se n’era già andato.

Il giorno del funerale si ignorarono: come non si fossero mai conosciuti. Anna era sorretta al braccio dalla sorella. Pietro, a lato del corteo con gli occhiali scuri, procedeva muto, senza scambiare una parola con la moglie. Come se Anna Soldati fosse stata l’unica responsabile di tutto quel dolore. Lei, impietrita da quella inumana sofferenza, accompagnava la piccola bara bianca e si chiedeva come avesse fatto a innamorarsi di lui. Avrebbe voluto cancellare quel pezzo della sua esistenza. Mandare via tutti. Avrebbe voluto credere che quello che stava vivendo a trentadue anni fosse solo un brutto, orribile sogno. Tutto invece era terribilmente vero. E, cercava di capire dove si fossero smarriti e perché quel dolore anziché avvicinarli, li aveva allontanati. Perché tutto quello era capitato a lei?

Il corteo procedeva verso la chiesetta in un silenzio assordante. La voce fastidiosa dell’anziano sacerdote blaterava orazioni che su Anna non producevano alcun effetto, mentre la voce arrochita di un’anziana donna faceva da eco alle litanie del prete.

Era trascorso ormai poco più di un anno da quel giorno. L’avvocato Gandini aveva seguito le sue pratiche di divorzio. E Pietro era uscito per sempre dalla sua vita. Ma stavolta fu lei a sbattergli la porta in faccia.

«Grazie avvocato, per quello che ha fatto.» Le disse, firmando l’assegno per la parcella. Lui era stato molto gentile con lei. Aveva curato la sua pratica di divorzio con molta dedizione e senza tenere conto del suo onorario di solito ben più alto. Però per quella giovane donna, che aveva sofferto più del dovuto, si era prodigato molto, anche se per lui, noto matrimonialista, era cosa di tutti i giorni trattare separazioni e matrimoni naufragati. E prendendo l’assegno con un sorriso appena accennato le disse: «Se lei me lo permette Anna, vorrei invitarla a cena per festeggiare questa positiva chiusura.»  Lei lo guardò smarrita. Arrossì.

Lui se ne accorse e forse, quel suo invito, la stava mettendo in imbarazzo. Anna da molto non riceveva una gentilezza da un uomo. Dal suo ex marito non l’aveva mai avuta. Nemmeno quando erano fidanzati. Poi, con la nascita della loro piccola tutto era precipitato.

Subito non sapeva se accettare o meno, ma in Francesco Gandini aveva notato, oltre a un atteggiamento garbato nei suoi confronti, anche un interesse verso di lei e questo la fece sentire di nuovo desiderata.

«La ringrazio!» rispose «accetto con piacere». Francesco le porse la mano, dicendole che l’avrebbe richiamata per accordarsi sulla data. Anna gliela strinse sentendo tutta la forza che quell’uomo era riuscito a trasmetterle. Il rossore di poco prima si era diluito, ma una certa agitazione la pervase. Lui se ne accorse e, ancora una volta, non disse nulla. Negli ultimi mesi aveva notato in lei un cambio d’aspetto, come se avesse ritrovato fiducia in se stessa. Aveva anche un nuovo taglio di capelli: le ricadevano neri e lisci sul collo slanciato. Quel collo sul quale Francesco si era soffermato più volte quando in ufficio, seduto di fronte a lei, le illustrava la situazione della sua pratica. Gli occhi color pervinca non avevano più l’opacità che aveva notato all’inizio. Adesso si muovevano rapidi, attenti. E in quella sfumatura di azzurro aveva visto la trasparenza del cielo limpido dopo un temporale estivo.

Anna lo aveva scelto come consulente non certo per il suo fascino. Anche se la prima volta che entrò in quello studio rimase colpita dal suo aspetto distinto e professionale.

Gliene aveva parlato Clara, la sua vecchia amica. Le disse di stare attenta a non innamorarsi di quell’avvocato quarantenne. Clara Lancetti, la sua compagna di classe delle elementari. Da allora non si erano più perse di vista e le loro vite avevano viaggiato parallele. Nel bene e nel male. Infatti, anche Clara si era affidata all’avvocato Gandini per il suo matrimonio finito male.

La vita di Anna cambiò da quella sera in cui lui la invitò a cena. Quando andò a prenderla con la sua Porsche, lei scese di fretta le scale, per non farlo attendere. Non era abituata a calzare quelle scarpe con il tacco dodici e mentre scendeva un po’ barcollava. Per l’occasione aveva indossato un tubino Armani color panna e un coprispalla nero. I capelli raccolti sulla nuca lasciavano scoperto il collo sensuale. Francesco la stava aspettando di sotto. Nel suo completo in gabardine petrolio. Appena lei si chiuse la porta alle spalle Francesco le si avvicinò.

«Ciao.» le disse. «Posso darti del tu, vero?» poi aggiunse: «Non possiamo continuare a mantenere le distanze…» Lei lo guardò sorridendo, dopotutto era quello che desiderava.

«Penso sia meglio.» le disse, sciogliendosi

Francesco la strinse per salutarla e con il suo viso le sfiorò la guancia. Lei sentì tutta la fragranza del suo Hermès. Asciutto, di cuoio e tremendamente maschile.

Al ristorante gli avevano riservato un tavolo rotondo per due, in una saletta in fondo. Francesco era un frequentatore di quel posto elegante. Di solito le cene di lavoro le organizzava proprio in quel locale, a due passi da piazza Duomo. Francesco però quella sera non era lì per impegni professionali. Il suo lavoro, anche con Anna Soldati, l’aveva svolto in modo brillante. Ed ora si apprestava ad entrare con quella giovane donna a cui la vita aveva riservato solo amarezze.

Li ricevette Ciro, con un ossequioso inchino.  

«Signori… buonasera. Signora, prego da questa parte! Ah, dottore le ho riservato il tavolo in fondo!» «Grazie Ciro! Per favore, intanto, ci servi subito un Prosecco?»

Si rivolse ad Anna e le chiese: «Per te, va bene?»

Mentre il cameriere le scostava la sedia per farla accomodare, lei non diede molta importanza a quella domanda. Sapeva che le bollicine di solito le andavano alla testa. Di sicuro quelle l’avrebbero aiutata se le avesse fatto delle avances. In fondo era quello che desiderava. Alzando gli occhi verso l’avvocato un po’ timidamente rispose: «Sì, sì…».

Era molto tesa e lui glielo fece notare con discrezione:

«So che ti sembra strano…»

«Cosa?»

«Volevo rassicurarti che di solito non porto a cena le clienti».

«Grazie.»

«Tu sei la prima.

«Sono privilegiata?»

«Dipende…»

«Da cosa?»

«Da come vedi quest’incontro.»

«Come lo vedo?»

«Non lo so, dimmelo tu.»

«Hai avuto pietà di me?» Mentre lo disse si pentì. Non era abituata a ricevere parole galanti da un uomo. L’unico al quale aveva dedicato la sua vita e una figlia, non esisteva più.

All’improvviso si accorse di non saper gestire quell’incontro. Aveva ancora l’animo turbato. Quello che gli era capitato, ancora non era riuscita a metabolizzarlo. Era lì, di fronte a Francesco e si domandava se fosse pronta a intraprendere una nuova relazione.

«Lo so, hai sofferto. Ma io ti sto guardando con occhi diversi. So che puoi amare ancora.»

«Ho paura. Ti sembrerò sciocca, ma non sono sicura di riuscirci...»

«Lo so, è difficile. Però la vita continua, non devi sbarrarle la porta»

Mentre le sussurrava questo, si accorse che Anna aveva abbassato lo sguardo. Due lacrime avevano trovato la via di fuga e lentamente stavano scivolando sulle sue gote.

«Scusa, ti sto rovinando la serata». disse Anna.

«Non ti devi scusare. Di nulla.» le disse porgendole il fazzoletto che aveva sfilato dalla tasca interna della giacca.

«Scusami un attimo. Vado a sistemarmi il trucco»

Lei si alzò per andare alla toilette. Al suo ritorno, il carrello era già accanto al tavolo. Francesco fece cenno al cameriere di servire le crepes al tartufo bianco. Il sommelier versò nel calice di Francesco un dito di Bonarda. Era perfetto. Poi, lo servì ad Anna e di nuovo a Francesco. Quel rosso rubino intenso e profumato l’avrebbe aiutata a sciogliere la sua tensione.

Dopo circa sei mesi, da quel loro primo incontro, ritornarono il quel ristorante come fosse un luogo magico. Francesco e Anna ormai erano una coppia. Lei, in parte, era riuscita a scrollarsi di dosso  quella fetta dolorosa della sua vita. Insieme ricordarono la loro prima sera. E lei gli svelò che quella sera, quando si era alzata per sistemare il trucco, in bagno, aveva incontrato la sua amica Clara.

«Clara Silvetti?»

«Già. Proprio lei.»

«Ma tu come la conosci?»

«È una mia amica di vecchia data…»

«Perché non me l’hai detto prima?»

«Avevo paura.»

«Di che cosa?»

«Di come poi sarebbe andata…»

«Cioè, non capisco»

«Che mi sarei innamorata.»

«Di chi?»

«Di te, e aveva ragione!»

«Continuo a non capire…»

«Clara mi aveva avvisato di stare attenta»

«Quindi avete complottato contro di me?» controbattè, fingendosi stupito.

«Sì, è lei che mi ha detto che eri un buon avvocato!»

«Grazie!»

«Grazie di cosa? Che sei un buon avvocato o che mi aveva parlato bene di te?»

«Grazie a Clara che ci ha fatto incontrare»

«Stiamo diventando patetici.» e aggiunse: «Però non credo di invitarla a pranzo quando ci sei tu!»

«Invece sbagli, dovremmo farlo.»

Francesco si sistemò il nodo della cravatta. Le versò del Pinot bianco e le sorrise fissandola con il suo sguardo magnetico. In fin dei conti sapeva di avere fascino.

«Il passato è cosa certa.» proseguì lui.

«Già!» e lo disse con un velo di tristezza.

«Il futuro non sappiamo cosa ci riserverà»

«Il futuro possiamo aiutarlo, però.» aggiunse lei

«Stiamo procedendo in un campo minato»

«Una mina l’hai già dissotterrata…»

«Il presente è ora … e siamo noi. Direi di procedere su questo campo»

L’avvocato Francesco Gandini era stato molto abile nel condurre la pratica della signora Anna Soldati, ma quella che ora stava affrontando era una trattativa molto importante per la loro vita.

Lasciarono il locale. Mancava poco all’una. Erano stati gli ultimi ad andarsene. Ciro spense le luci della sala. Fuori li accolse una folata di vento pungente. Di fine marzo. Si strinsero nei loro cappotti e si avviarono verso l’auto parcheggiata poco lontano. Il residuo del rigore invernale tra non molto avrebbe lasciato spazio al tepore d’aprile. Francesco mise in moto la Porsche e, senza attendere che l’abitacolo si acclimatasse, ingranò la marcia e partirono. Si dileguarono lasciandosi piazza Duomo alle spalle. In pochi minuti l’interno del SUV fu piacevolmente caldo.  Anche il cuore di Anna aveva trovato quel tepore che da molto le mancava.

 

© Franco Duranti – giugno 2018