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Federica, la ragazza bionda con cui andavo all’inizio, e con la quale poi avrei fatto coppia fissa, ancora non mi attirava troppo. Non perché fisicamente avesse qualcosa di storto, anzi era molto carina (e lo è tuttora) ma aveva degli atteggiamenti che a me davano un po’ fastidio.

Quando eravamo con il gruppo di amici lei era solita assumere quell’aria fatale, da diva. Solo per farsi notare dagli altri maschi che le sbavavano dietro. In quel periodo, non è che fossi geloso di lei. Però, tutte quelle moine alla Marylin Monroe non mi garbavano troppo. Mi sembrava di assistere in diretta al film: A qualcuno piace caldo.

Quegli atteggiamenti da gattina in calore lo aveva anche quando facevamo l’amore. Poi, ad essere sincero, allora non era una grande amante. Ma con ogni probabilità ero io che ancora non sapevo pizzicare le corde giuste.

Quelle corde erano ancora allentate: erano da tendere e dovevano essere accordate perché cominciassero a vibrare armoniosamente. Non avevo ancora raggiunto la maturità intellettiva nel fare l’amore. Per raggiungerla avrei dovuto attendere la mia Musa che mi avrebbe condotto in quel campo che da lì a breve avrebbe dato i suoi frutti.

Mi dava l’impressione che quando scopavamo lei continuasse a fingere, come in un set. Nella scena, mancava soltanto il regista che le indicasse il momento propizio per raggiungere l’orgasmo. Non ho mai saputo se allora fingesse, oppure no. Comunque io, ce la mettevo sempre messa tutta. Anche perché i miei ormoni stavano viaggiando a velocità supersonica. Forse era proprio quella la causa. In pochi minuti raggiungevo l’orgasmo e non riuscivo a decifrare se i suoi gemiti erano sinceri o stava recitando la parte.

Di sicuro non era vergine, e non ero stato il suo primo ragazzo. Ma non m’importava. Prima di me si era già lasciata sedurre da altri due miei amici, e anche loro avevano avuto la stessa mia sensazione, cioè che stesse fingendo. Forse dopo il liceo si sarebbe iscritta ad un corso di arte drammatica!? Può darsi, e chissà…? Forse avrebbe sfondato!

Quella prima volta che venne a letto con me è stato a casa mia. Nella mia camera.

Era il 12 febbraio. Ricordo quella data, con precisione, perché due giorni dopo sarebbe stato san Valentino. E Federica dopo che avevamo fatto l’amore mi disse: «Che mi regali per la nostra festa?» Sinceramente io non ci avevo proprio pensato. Però lei si era già calata nella parte della fidanzatina di Peynet!

Il regalo, poi il giorno di san Valentino glielo feci veramente. Un profumo di Moschino e una scatola di preservativi colorati.

Verrebbe da dire che i preservativi non sono regali da farsi. Però due giorni prima mi ero salvato in calcio d’angolo. Fortunatamente ne avevo uno di scorta nel cassetto della scrivania e la cosa è andata, senza correre alcun rischio. Non per paura dell’Aids. Però, non avrei voluto diventare padre ad un’età così giovane.

Mia madre - non l’ho ancora detto - era insegnante di italiano alle scuole medie. Ricordo che, quel giorno, aveva il collegio dei docenti e non sarebbe rientrata prima dell’ora di cena. Mio padre, come spesso succedeva, era fuori per lavoro. Lui era, e lo è ancora, direttore commerciale in una ditta di materie plastiche. Sarebbe rimasto in fiera a Colonia per tutta la settimana.

La casa era a mia disposizione e avrei avuto tutto il pomeriggio per stare a letto con lei. Ricordo che prima del rientro di Clara, riuscii anche a rassettare un po’ in giro.

Federica, alias l’aspirante attrice, prima di spogliarci e iniziare a fare l’amore, aveva voluto fare la sua messinscena, come in un film. Mi fece abbassare tutte le tapparelle, spegnere le luci, poi, con un’aria da Paris Hilton, mi disse: «Accendiamo le candele… creiamo un’atmosfera da sogno!».

Io avevo voglia solo di scopare e, per non contraddirla e affrettare l’evento, l’accontentai nel suo progetto scenografico. Nella mia camera, è chiaro, non avevo candele. Solo lampade alogene che sparavano luce violenta. Però, mia madre, le teneva sparse in ogni angolo della casa: in tutte le forme e le dimensioni.

Ci ho messo un bel po’ ad accenderle tutte. Poi, come se ciò non bastasse, mi ha fatto accendere anche alcuni bastoncini di incenso che aveva visto appoggiati sulla consolle dell’ingresso.

Alla fine di quella messinscena stile Beautiful, mi era sembrato di fare l’amore in una chiesa.

     Un amore finto e freddo. Nonostante l’allestimento.

 

     © Franco Duranti - 2014