Era trascorso più di un anno e non avevo più messo piede in quel bar, dopo quella volta in cui v’incontrai Olga.

     Quella mattina di fine novembre ero transitato lì per caso. Ero uscito presto, senza fare colazione e il mio stomaco stava reclamando un caffè forte e una brioche calda.

     La barista al bancone era nuova, anche l’ambiente era rinnovato; quella che io chiamavo il cagnolino arruffato lavorava più lì, forse aveva capito che quel lavoro non era adatto a lei.

     La nuova ragazza era più cordiale e gentile: mi accolse con un sorriso e rimasi stupito dai suoi occhi verdi, profondi come un lago alpino. Una cascata di capelli neri lunghi fino alle spalle, le incorniciava il viso; erano lisci e pettinati con cura e non assomigliavano affatto a quelli arruffati del cagnolino.

     Mentre armeggiava sicura con tazze, piatti e cucchiaini, mi accorsi che aveva un tatuaggio sull’avambraccio destro con un motivo floreale e due iniziali: M. L. Forse indicavano il nome del suo ragazzo. Ma non le chiesi nulla e la lasciai al suo lavoro.   

     Il locale era rinnovato in tutto, ma ancora una volta ritrovai l’omino della slot. Anche se quell’apparecchio infernale era sparito dall’angolo in fondo al bar. Al suo posto una vetrina refrigerata faceva bella mostra di vini bianchi e birre artigianali.

     Incrociai il suo sguardo bieco mentre ero intento a sorseggiare il mio caffè macchiato.

     Lui, con la solita faccia torva, mi fissò: come se mi avesse riconosciuto o si fosse ricordato di quella sera con Olga. Lo salutai con un cenno del capo e lui fece altrettanto senza scomporsi troppo. Si accomodò ad un tavolo libero e cominciò a sfogliare il giornale; e ogni volta che la porta del locale si apriva, alzava lo sguardo per controllare il nuovo arrivato. Non aveva più lo schermo della slot, dove puntare lo sguardo: adesso la sua attenzione ricadeva su ogni nuovo cliente che varcava la porta a verti del locale.

     Il bar era pulito e accogliente. Con la nuova insegna, dava l’idea che avesse un’anima nuova e uno spirito diverso. L’arredamento più funzionale e minimalista e anche la gente che lo frequentava sembrava più tranquilla e rassicurante. Solo l’omino dallo sguardo torvo era sempre lì presente, come un posacenere, un porta ombrelli. Insomma, un accessorio vivente.

     Ero riuscito a pubblicare il mio romanzo nei tempi previsti dall’editore. Già da subito aveva avuto un buon consenso e, dopo le prime presentazioni, le vendite avevano avuto un’impennata. Grazie anche a lei, Olga, l’inaspettata protagonista della vicenda.

     Ma con lei, la storia era terminata poco dopo quel Martini.

     Continuava a ripetermi quasi in modo ossessivo che mi amava ed era affascinata dalla mia mente. Ma forse non le bastava più: non poteva più accontentarsi solo della mia spiritualità. Mi lasciò con un leggero rimpianto e non la rividi più. Ma se ci fossimo incontrati di nuovo, forse sarebbe scoccata ancora quella scintilla.

     Venni a sapere da Vittorio della sua nuova relazione. Mi disse che la incontrò al mare, in compagnia di un tipo dalla pelle ambrata, forse un magrebino. Gli sembrava che si chiamasse Kamal, un giovane dai capelli corvini, ricci a cavatappi e un fisico ben assestato. Mi confermò che si era attaccata a quel ragazzo come una ventosa. Anche se non aveva niente in comune con me.

     “Flavio,” mi disse Vittorio “è meglio che sia andata così, non avresti resistito a lungo con Olga!”

     Non mi stupii delle sue parole. Eravamo amici da una vita e tra noi non esistevano né segreti né confini. Conosceva tutte le mie vicende e aveva pronosticato che con lei non sarei sopravvissuto. Olga, dopo l’esaltazione dell’inizio della nostra storia, lentamente mi stava prosciugando. Vittorio l’aveva paragonata ad una pompa idrovora, che mi succhiava energia vitale; ma dopotutto, con lei avevo trovato molti spunti da narrare nel mio ultimo romanzo.

     Quando Olga mi disse che lei mi faceva comodo e che l’avevo usata, in parte aveva ragione. Non potevo darle torto: dopotutto era stata la mia fonte ispiratrice. Ma l’acqua di quella fonte a poco a poco si era esaurita e il caso volle che la nostra relazione finì.

     Vittorio aveva curato la prefazione e la promozione del romanzo. Era lui a introdurlo e a fare il relatore: mi poneva domande sulle vicende e le tematiche del libro. Il pubblico, un po’ snob e con la puzza sotto il naso, credo si divertisse. Di solito, le presentazioni librarie sono noiose, ma Vittorio era abile con le parole e riusciva sempre a catalizzare la curiosità dei presenti.

     Le persone, incuriosite dalle sue domande, si avvicinavano al tavolo con il romanzo per una dedica. Ero piacevolmente soddisfatto di quel lavoro, anche se non potevo certo considerarmi alla stregua dei grandi. Però, dopo tutta la fatica per riuscire a concluderlo, mi sentivo appagato.

     Intento a elargire sorrisi e ringraziamenti, si avvicinò una giovane donna, sui quarant’anni, che non avevo mai visto prima. Mi colpì la sua esuberanza e la determinazione con cui mi parlava. Percepivo dalla sua intonazione vocale una curiosità inusitata verso il mio romanzo. Forse le parole di Vittorio avevano fatto centro. Era riuscito a suscitare curiosità tra il pubblico e chi mi si accostava, voleva chiarimenti sulla storia. Come se tra le pagine di quel romanzo ci fosse stata la verità assoluta e l’essenza dell’amore.          Chiesi il nome a quella giovane donna e lei mi disse che dopo averlo letto mi avrebbe dato il suo giudizio. E io scarabocchiai sul risguardo del volume:

A Evelyn,

 forse un giorno mi dirà cosa pensa di me!

Flavio.

 

     Dopo circa venti giorni, dalla presentazione, mi raggiunse la sua telefonata. Ero in vacanza a Gallipoli con mia moglie, Vittorio e la sua compagna Marcella. Eravamo in spiaggia a crogiolarci al sole. Mi ero dimenticato di Evelyn, anche se la sua bella presenza e la sua determinazione al momento mi avevano colpito.       Adesso ero in vacanza e non volevo pensare al lavoro. Ma Vittorio, nonostante le ferie, aveva organizzato altre tre presentazioni in Puglia; stava battendo il ferro ancora caldo e per me non c’era scampo, nemmeno al mare. Le sue conoscenze nel mondo della cultura e dell’editoria erano ramificate in tutta la penisola         

     Squillò il telefono e sullo schermo apparve numero privato. Pensai di non rispondere, ma poi mi decisi:

     – Chi parla? – dissi, con un tono seccato. Vittorio era seduto al mio fianco e stavamo sorseggiando un long drink.

     – Ciao, sono Evelyn, disturbo? e aggiunse: – Ti ricordi di me?

     Ero tentato di risponderle in malo modo, e rivolgendo lo sguardo a Vittorio, che non aveva capito di chi si trattasse, risposi:

     – Sì, certo che mi ricordo. L’hai letto allora?

     Vittorio intanto continuava a guardarmi di sottecchi.

     – Sì, mi è piaciuto molto. Ma vorrei chiederti alcune cose, posso?

     – Ma, veramente adesso non potrei… magari quando torno ne parliamo.

     Vittorio, sottovoce mi domandò chi fosse, e gli feci segno di tacere, con l’indice.

     – Allora scusami per l’invadenza! rispose Evelyn.

     -– Non ti preoccupare. Magari avremo modo di incontrarci e di parlarne - e chiesi:  ma come hai avuto il mio numero?

     – Poi, te lo dirò. Ciao e a presto! e riagganciò.

     Vittorio non aveva capito nulla di quella conversazione e continuava a fissarmi interdetto. E per sciogliere ogni dubbio, lo anticipai:

     – Ti ricordi quella ragazza alla mia prima presentazione? Era lei, Evelyn. Si chiama Evelyn.

     – No, come posso ricordarmi, con tutte quelle che ti stavano intorno per avere una dedica?

     – Mi vuole incontrare, per parlare del romanzo. Vuole dei chiarimenti.

     – Oh, oooh! E ti chiama mentre sei in vacanza?

     – Vittorio, dovresti saperlo che non sono in vacanza! Mi hai organizzato altri tre presentazioni.

     – E, non ti lamentare. Le vendite stanno andando alla grande!

     – Non mi sto lamentando, pensavo solo che non so come abbia fatto a scovarmi…

     – Forse, la storia le è piaciuta e magari è curiosa. Quando una donna è interessata a qualcuno, fa di tutto per avere il suo recapito. E magari gradirebbe anche provare quelle sensazioni che hai descritto.           – Non fare il modesto Vittorio: forse sei stato tu a stuzzicarla con la tua recensione… sei un bel paraculo!

     – Sicuramente ti ho dato una bella mano, ma stai in guardia! Non fare la fine che hai fatto con Olga.

     – Hai ragione, ma dopotutto, una buona parte del successo che sta avendo il libro la devo anche a lei.

     La vacanza in Puglia proseguì e le tre presentazioni programmate da Vittorio furono un successo. Mi ero affezionato alle domande che il pubblico, in prevalenza femminile, mi formulava. Ormai parlare alle conferenze era diventato piacevole. Facendo tesoro delle precedenti, riuscivo a prevedere quello che mi avrebbero chiesto e le risposte che davo erano ormai confezionate e studiate a tavolino.

     Però, ogni tanto mi tornava in mente Evelyn; la sua sicurezza mi aveva stupito. Forse aveva ragione Vittorio. Ero troppo vulnerabile e mi lasciavo irretire con troppa facilità.

     Ma come diavolo aveva fatto a trovare il mio numero?

     Tornato dalla vacanza, in città c’era ancora con un caldo torrido. Avevo ricominciato a lavorare e, controvoglia, avevo messo di nuovo mano a quel romanzo che giaceva da tempo nel cassetto. La conclusione, scelta prima di abbandonarlo per dedicarmi a quello appena pubblicato, non mi convinceva e lo smontai pezzo per pezzo. Ancora però, mi mancava quel quid per dare credibilità alla storia.

     Provai ad inserire un nuovo personaggio femminile, ma quella figura non riusciva ad emergere dalla mia mente. Mi ero ispirato ad Evelyn pur non conoscendola: lei era sparita, e il suo numero non lo avevo. Sentivo di aver bisogno di lei e non sapevo come avrei potuto rintracciarla. Mi serviva una sensazione forte per giungere alla conclusione di quell’inedito. Ero convinto che quella giovane donna, apparsa come un lampo, avrebbe potuto darmi la spinta giusta.           

     Ma, di lei, si erano perse le tracce. 

     Erano ormai trascorsi più di tre mesi dalla sua chiamata e arrivai anche a pensare che forse, a Gallipoli, ero stato troppo brusco nella risposta e si fosse offesa.

     Mi giunse la sua telefonata, un venerdì mattina di metà novembre. Quando, ormai, avevo perso quasi tutte le speranze di incontrarla.

   – Ciao, sono io! – Evelyn si annunciò così. Come fossimo stati amici di vecchia data. La sua voce particolare, con quel timbro leggermente maschile, era inconfondibile.

     La riconobbi subito.

     – Dov’eri finita? Pensavo ti fossi dimenticata… aspettavo che mi chiamassi!

     Lei si scusò e mi comunicò che aveva avuto un problema familiare, e per questo non era riuscita a mettersi in contatto con me. Mi chiese se ero disposto a incontrarci e mi disse: Ti va bene se ci vediamo martedì all’Imperiale per un aperitivo?

     – Certo! – le confermai.

     – Allora alle undici. –  e riattaccò.

     Arrivai in piazza con un po’ di anticipo. L’orologio del Teatro segnava le dieci e quarantacinque e mi accomodai ad un tavolo sotto il gazebo. Il sole di fine novembre era testardo e i raggi che filtravano dal plexiglass mi scaldavano piacevolmente. Mentre ero lì in attesa, un gruppo di anziani parlottava tra loro sul margine del marciapiede beandosi di quell’ insolito tepore.

     Lei mi piombò alle spalle all’improvviso, era sbucata dal loggiato di via degli Orefici, mentre il mio sguardo era ancora appoggiato alla facciata del Pergolesi.

     – Ciao! – mi salutò con la solita enfasi. Mi alzai per farla accomodare e ordinai da bere. Per lei un analcolico e per me un calice di Pinot grigio che dopo poco arrivarono al tavolo.

     Nonostante ci conoscessimo appena, ero a mio agio e le stampai un affabile sorriso. Mi sentivo protetto dal mio leggero piumino trapuntato e il bicchiere di vino mi dava sicurezza. Credo che anche Evelyn lo fosse, nel suo soprabito chiaro color cammello, mentre una sciarpa di seta marrone metteva in risalto il suo volto solare: solare come quella mattina di fine autunno.

     Percepivo la sua voglia di parlare, di sapere, di conoscere. Ma ero sulle difensive, come se da un momento all’altro avessi dovuto subire un attacco. Quell’attacco, pronosticato da Vittorio. Evelyn, infatti, sin dal primo incontro, mi aveva palesato subito l’interesse che provava per me.

     Del mio romanzo l’aveva colpita la narrazione, la storia e, nello sviluppo aveva riscontrato dinamiche, a volte complesse, all’interno di un rapporto difficile tra i protagonisti. Mi chiedeva se tra quei personaggi ci fosse qualcosa di me.

     Come potevo negarglielo, io ero celato tra quelle pagine, in quelle vicende e ancora una volta avevo messo a nudo la mia vita. Stavamo conversando e lei continuava a seguire interessata le mie parole.

     All’improvviso Olga comparve.

     Era sola.

     Con passo affrettato, stava attraversando la piazza e si dirigeva verso il gazebo. Per una frazione di secondo, i nostri sguardi s’incrociarono. Lei sollevò il braccio per salutarmi e io le risposi alzando la mano.

     Mi scusai con Evelyn, e mi alzai frettolosamente. Uscii un attimo per salutarla. Andava di corsa, mi disse che le stava scadendo il disco orario e che non poteva fermarsi. Come vecchi amici, ci baciammo sulla guancia: le chiesi se era tutto a posto. Me lo confermò con un sottile sorriso e scappò via.

     La mia ammiratrice era rimasta seduta al tavolo, sola per un momento.

     Al mio ritorno Evelyn mi guardò negli occhi con insistenza e mi chiese:

     – È lei vero la protagonista del romanzo?

     – Come lo sai? – risposi, mi accorsi di essere stato scoperto.

     – La descrizione fisica che hai fatto, è identica!

     – Vorrei dirti che ti sbagli, ma non è così. Hai ragione.

     – Una relazione complicata, la vostra. Comunque interessante. Sei stato abile a descrivere certe dinamiche.

     Dalle sue parole traspariva una vena di delusione. Mi sentivo in imbarazzo, era così lampante e cercai di diluire il disagio che, all’improvviso, si era creato tra noi.

     – Grazie, – risposi, – a volte, certe storie nascono e si sviluppano senza volerlo. Vengono fuori come dal cilindro di un mago!”

     – Quindi tu saresti il mago, oppure come diceva lei il suo bravo “scrittore del cazzo.?” –  Una risata a denti stretti incurvò la sua bocca, mentre io cercavo di evitare il suo sguardo disilluso.

     – Già! Così mi diceva lei. – Improvvisamente mi sentii inadeguato, come se fossi stato intrappolato nelle maglie della sua rete.

     – Perché hai voluto sentire il mio parere sul romanzo? – mi chiese.

     “Te lo avevo promesso sulla dedica… sbaglio?

     – E tu, ti ricordi di tutte le dediche che fai?

     – No, è ovvio. Ma di te mi sono ricordato.

     – Grazie, questo mi lusinga. Forse, se ci fossimo conosciuti in un’altra occasione, anch’io ti avrei detto: …e bravo il mio scrittore del cazzo. Ma ci conosciamo appena, e ti posso solamente fare i complimenti per l’ottimo romanzo!

     Si alzò, senza finire l’aperitivo, mi strinse la mano e si allontanò.

     Il suo analcolico era rimasto a metà sul tavolo e io mi ritrovai solo con il mio Pinot a farmi compagnia.

Mentre continuavo a ripensare alle parole di Vittorio.

 

© Franco Duranti – dicembre 2018