Di lei aveva perso le tracce. Venne a sapere della sua morte improvvisa, per caso, da Toni. Con lui, a quei tempi, avevano un sodalizio molto stretto. Frequentavano entrambi la scuola d’arte e si divertivano a fare gli artisti.

     Due bohèmien di circa diciott’anni, con il mondo ai loro piedi. Il loro studio in comune era composto da due stanze e un bugigattolo che aveva la funzione di gabinetto.

     Da quella soffitta, al terzo piano nel centro storico, si scorgevano solo i tetti di vecchie case con i coppi di almeno due secoli. Ma in fondo a quei tetti, uniti tra loro, si intravedeva uno squarcio d’azzurro e il profilo delle colline che contornavano la valle, tagliata dallo scorrere lento del fiume.

     Quella mansarda, a due passi, dal cielo era il loro regno. Lì, tra colori, tele, matite, tavolozze e cavalletti, incontravano le ragazze che amavano farsi ritrarre.

     Isabella era una di quelle ragazze. Aveva sedici anni e non era bella. Però, era estroversa e con un viso simpatico. Il suo nome, per chi non la conosceva, lasciava immaginare il contrario. Cioè che fosse bella.

     Ma Isabella non era bella, ma intelligente. Il viso paffuto, e punteggiato da lentiggini era sempre sorridente e le due fossette ai lati della bocca la rendevano attraente.

     Per un breve periodo era stata la ragazza di Toni. Ma lui l’aveva mollata quasi subito, perché ne aveva abbastanza delle sue scenate di gelosia.

     Credo che allora avesse avuto quella fugace storia con Rocco, solo, per fare dispetto al suo amico.

     Quando suonò il campanello, lui era alle prese con una grossa tela: stava sperimentando un nuovo soggetto pittorico. Nuove forme con colori contrastanti tra loro, inserite su un fondo verde pistacchio. Forme che si ripetevano nello spazio e allontanandosi si perdevano nel nulla.

     Se la trovò improvvisamente sul pianerottolo.

     «Ciao Isa, cerchi Toni?»

     «No.»

     «Vuoi entrare?»

     «Posso? Ti disturbo?»

     «No, entra pure.»

     «Che stai facendo?»

     «Siediti. Sto creando una composizione surreale.»

     «Toni è uno stronzo.» disse lei. Mentre osservava la tela.

     «Avete litigato?»

     «Sì…» e aggiunse: «Anche tu sei stronzo come lui?»

     Rocco, con la sigaretta tra le labbra, le sorrise. Aveva ripreso a dipingere mentre lei continuava a squadrarlo da cima a fondo parlando di Toni.

     «Non lo so, tu che dici?»

     «Io so che siete amici…»

     «Questo ti basta per dire che anch’io sono stronzo…?»

     «Ci siamo lasciati. È colpa sua. Stava con me e con un’altra… allo stesso tempo»

     «Può capitare…» disse Rocco.

     Si stava confidando con lui, come se avesse avuto il potere di ricompattare il loro rapporto. Ne era al corrente delle storie di Toni, comunque non era affatto sorpreso da ciò che lei gli stava raccontando.

     Posò i pennelli e si deterse le mani.

     L’acqua ragia, con quell’odore pungente, aveva impregnato lo studio. Mentre si puliva, pensava alle confidenze di Isabella e anche a ciò che Toni gli aveva riferito, cioè che non era ancora riuscito a portarsela a letto: era ancora illibata e forse voleva rimanere tale fino al matrimonio.

     «Vuoi una Coca Cola?» le disse.

     «Sì, grazie.»

     «Sai dov’è, prendila!»

     Lei si diresse verso il frigo, stappò la Coca Cola e si sedette di nuovo sul divanetto. Con la bocca si attaccò alla bottiglia e cominciò a sorseggiare.

     «La vuoi anche tu?»

     «Cosa…»

     «La Coca Cola, cosa hai capito…»

     «…la Coca, certo. Sì, fammi bere!»

     Le tolse la bottiglia dalle mani, l’avvicinò alla bocca e ne bevve un sorso. Le bollicine gli avevano solleticato il naso. La sua presenza aveva cominciato a solleticare anche la sua fantasia. Il vetro sinuoso della Coca Cola aveva già assorbito il profumo delle sue labbra e della sua pelle.

     Non era bella Isabella, ma lo eccitava. E appoggiare la bocca dove poco prima l’aveva posata lei, aveva un non so che di erotico. Lei continuava a scrutarlo, di sottecchi. Come per cercare di capire cosa si nascondesse in quel momento nella sua testa.

     Anche lei era eccitata da lui.  

     Più volte aveva frequentato lo studio, per via di Toni, ma era come se avesse notato Rocco per la prima volta. Eppure lui, con la sua statura di circa un metro e ottanta, non passava inosservato e quell’aria svagata d’artista gli conferiva un misterioso fascino.

     Dopotutto Isabella era stata pur sempre la ragazza di Toni.

     Era caldo quel pomeriggio di luglio. Dalla finestra aperta, si udivano senza interruzioni, i garriti delle rondini che, come impazzite dalla schiusa, intrecciavano voli banchettando con il becco spalancato.

     La maglietta attillata di Rocco, incollata dal sudore, metteva in mostra i suoi pettorali.

     Se la sfilò: «Ho caldo,» disse, «tu non hai caldo?»

     «Che intenzioni hai?»

     «Ho caldo. Ho solo detto che ho caldo…»

     «Ok, allora vado, non vorrei che…»

     «Che cosa?» Rocco si avvicinò e con una mano, cercò di sbottonarle la camicetta.

     Per gioco, lo scherzo, proseguì: «Faccio io, lascia!» Continuò lui.

     «Non mi staccare i bottoni…»

     Isa non osò fermarlo. Lo assecondò.

     Sotto la camicetta azzurra, il reggiseno bianco a fiorellini rosa, a fatica, conteneva il suo petto florido e gonfio, imperlato di sudore. La mano di Rocco aveva iniziato a sfiorarle i seni. Lei lo lasciò fare.

     La sentiva vibrare, e condusse la mano di lei dove sentiva un formicolio.

     «Che vuoi fare?»

     «Non credo debba spiegartelo…»

     Era insistente, cercò di far scivolare la sua mano sinistra sotto la gonna jeans. Mentre con la destra le carezzava i seni.

     Lei si bloccò: «Fermo, lì no!» gli intimò

     «Non vuoi farlo?»

     «No, da lì non si passa!» Era decisa. Aveva stretto le gambe con tutta la forza.

     La mano di Rocco era rimasta imprigionata tra le sue cosce umide di sudore. La zona era interdetta.

     «Perché hai continuato, allora?»

     «Stai zitto, lascia fare a me,» fece un altro sorso di Coca Cola, poi gli passò la bottiglia:

     «Bevi anche tu!»

     Si persero in un lungo bacio. Le loro bocche umide si fusero con il sapore dolce, fresco e acidulo della bibita.

     Isabella con decisione gli abbassò la zip.

     Lui era pronto. Gli slip non riuscivano più a contenere il suo sesso. Il suo intervento fu come una liberazione.

     «Accidenti!» disse lei

     «Che è successo?» riuscì a bofonchiare Rocco.

     «È enorme… pensi che avrei potuto lasciarti fare?» lasciò la presa e continuò a guardarlo impressionata. Doveva preservare il suo candore. Con quello era convinta di dover arrivare all’altare.         

    «Ok, e adesso? Mi vuoi lasciare così...» si sentiva frodato nel suo orgoglio, e si alzò di scatto. Isa lo guardò con compassione e gli allungò la mano affinché si avvicinasse ancora a lei: «Vieni qui!» disse con fermezza e lui ubbidì.  

     Lei si accostò di nuovo e sorridendo, con decisione, lo avvicinò a sé. Rocco rimase stupito per la sua risolutezza.

     Poco prima lo aveva allontanato e adesso, inaspettatamente, era lei a condurre il gioco:

     «Ti ho detto lascia fare a me!»

     Rocco si fece prendere e affondò le mani nei suoi capelli tirandola a sé. Ogni tanto dava qualche spinta e, per un attimo, a lei mancò il fiato e cominciò a tossire.

     Dopo poco lui arrivò.

     Lei si alzò per pulirsi alla meglio, s’infilò la camicetta e aprì la porta per andare al gabinetto. Rocco era rimasto lì, seduto sul divanetto completamente svuotato.

     «Quando ci vediamo?» Ebbe la forza di chiederle.

     «Non lo so. Magari uno dei prossimi giorni passo a vedere se ci sei.»

     «Ti aspetto, ci conto!»

     Prima di aprire la porta, e andarsene, si voltò e gli sorrise: «Se vedi Toni, salutamelo, grazie. Comunque è stato bello!» disse.

     «Anche per me lo è stato!» rispose lui.

     «So di averti deluso, forse volevi altro da me…»

     «Vorrei rivederti…»

     «Non farti illusioni, la vita è questa: un giorno ci siamo e un altro non si sa!»

     «Ma quando passerai di nuovo?»

     «Non ci pensare troppo.» le disse prima di uscire dal portone.

     Rocco si affacciò alla finestra e la vide perdersi tra i vicoli del centro storico.

     Mancava poco alle cinque, il sole era ancora alto. Il garrito delle rondini, che saettavano tra quel lembo di azzurro, gli trasmettevano un velo di tristezza. Non aveva più voglia di dipingere, ma Isabella non si fece più vedere. Era sparita da Toni e da lui.

    

Erano trascorsi trentacinque anni da quel giorno e di lei, Rocco non aveva avuto più notizie.

     Quando Toni gli comunicò che, dieci giorni prima, Isabella era morta, ci rimase male. Anche Toni non l’aveva più frequentata, ma aveva saputo che si era sposata.

     Che fosse arrivata intatta al giorno delle nozze – come lei aveva sempre detto – nessuno poteva saperlo. Aveva avuto, però, due figli ed era diventata una brava maestra d’asilo.

     Toni gliel’aveva ricordata, quel giorno.

     E Rocco ripensò alle parole che lei gli aveva detto prima di andarsene: Non farti illusioni, la vita è questa, un giorno ci siamo e un altro non si sa!

     Lei se n’era andata.

     E lui era ancora lì, a rincorrere sogni, tra le sue tele.

© Franco Duranti – giugno 2021