Mi sembrava di averlo già visto quel distinto signore. Forse lo avevo incontrato da qualche parte, ma non ne ero sicuro. Credo avesse circa cinquant'anni o giù di lì; era seduto al tavolo di fronte al mio e stava sorseggiando un caffè mentre era al telefono. Non capivo però l’argomento di cui parlava. Faceva delle lunghe pause nella conversazione, come se il suo interlocutore lo facesse riflettere su ciò che gli stava dicendo. E lui ripeteva… bene, bene. Ho inteso solo quelle parole, per il resto, continuavo a non capire…

     Stavo sfogliando il Corriere, oltre tutto quelle immagini sulle due guerre in corso non erano affatto rassicuranti. Non avevo più voglia di soffermarmi a lungo su quelle devastazioni, non erano di conforto alla mia mente. Avevo bisogno di certezze e quei quartieri ridotti in macerie non lo erano. Allora, alzo lo sguardo e incontro il suo che mi stava occhieggiando, sembrava volesse attaccar discorso.

     Mai visto prima in quel bar, penso, eppure capito qui quasi tutte le mattine, prendo un caffè, do un’occhiata alle notizie e vado a fare una passeggiata al parco.

     Il dottore ogni volta che mi vede seguita a ripetermi che devo fare movimento. Movimento, passeggiare e bere molta acqua. Io che preferisco bere un buon bicchiere di vino, altro che acqua, ma lui continua a dirmi che ne devo berne almeno due litri al giorno.

     Continuo a guardarlo con la coda dell’occhio e più lo osservo e più mi convinco di non averlo mai incontrato. Ma allora perché tra me e lui c’è questa specie di corrente sotterranea? Gli sorrido e anche lui lo fa.

     Vuole un caffè, mi chiede. No grazie, rispondo, ne ho già presi due stamattina. Il dottore mi dice di non abusarne... sa l'età, gli rispondo. Perché quanti anni ha, se non sono indiscreto, mi dice lui. Certo che non lo è, non è mica un segreto, rispondo, ne compio settant’otto ad aprile. Ah! Be' non li dimostra, mi dice, non sembrerebbe, li porta bene. Già, però li ho tutti addosso e me li sento tutti, mi creda: proprio tutti. Il colesterolo e la glicemia alti, per non parlare del mal di schiena che mi assilla. Poi il cuore, gliel'ho già detto: devo stare attento a non abusare con i caffè, eppure, ne berrei anche dieci al giorno, se potessi.

     Lui si alza e si avvicina al mio tavolo: posso sedermi?, mi domanda. Certo, si accomodi pure! dico, così facciamo due chiacchiere: non ne posso più di tutte ‘ste notizie sulla guerra. Una volta che l’ho di fronte, noto la sua altezza: è di circa quindici centimetri più di me, credo sul metro e novanta. Indossa un abito blu scuro, ben stirato e senza l'ombra di una piega. I capelli, una volta erano biondi, credo. Un po’ lunghi ma non troppo, ben pettinati all’indietro con sfumature biancastre che diluivano l'oro della sua chioma. Insomma, mi sembrava un tipo serio, come si dice, a modo. Forse potrebbe essere un manager, un professionista o un ingegnere, penso mentre si siede.

     Allungo la mano per presentarmi, mi chiamo Fausto Ghirelli. Piacere, mi fa lui, Alessandro Giansanti, e mi porge la mano. Si avvicina scostando la sedia dal tavolo e si siede facendo attenzione alla piega dei pantaloni. Più passano i secondi e più mi convinco che questo tizio abbia qualcosa di già visto. Saranno gli occhi verdi, hanno lo stesso colore di quelli della buonanima di mia moglie. Oppure il fisico magro e asciutto, anch’io ero come lui da giovane. O forse il colore dei capelli, una volta anch’io li avevo biondi: ora quei pochi rimasti sono nascosti dal berretto che non tolgo mai, giusto quando vado in chiesa a pregare per mia moglie.

     Più passano i minuti, e più mi chiedo da dove venga questa sensazione di familiarità con questo tipo? Eppure sono sempre più sicuro di non averlo mai incontrato prima d’ora. Ne sono certo. Mentre si siede questo pensiero continua ad aleggiare nella mia testa. Che lavoro fa? Gli chiedo a bruciapelo, mentre i miei occhi continuano a indagare. Mi incuriosisce questo distinto signore. Sono avvocato, mi dice, ho uno studio associato con altri due colleghi.

     Avevo visto giusto. Dove ha lo studio, qui in città? Gli domando, mi sembra di non averlo mai incontrato prima… sa, io ormai sono in pensione e ci capito quasi tutti i giorni in questo bar. Ha ragione, è la prima volta che vengo da queste parti, ho lo studio nella zona opposta della città, e aggiunge, oggi ci sono capitato per caso perché dovevo incontrare un cliente. Però mi ha dato buca, ed è saltato l’appuntamento. Alessandro mi stava incuriosendo, sembrava che con lui avessi un discorso iniziato e da finire; lui risponde alle mie domande con solerzia e gentilezza, come se il mio atteggiamento, un po’ troppo indagatore, stimolasse le sue risposte. Ma perché stava al mio gioco? Sono io che dopotutto ho notato in lui qualcosa di familiare. Familiare? Mi sto chiedendo che senso abbia classificare questo incontro familiare. Forse è dovuto alla perdita improvvisa di mia moglie? Credo che sia proprio per quello: la sua morte mi ha lasciato un vuoto, un vuoto che cerco di colmare… cinquantadue anni passati insieme sono una vita.

     Più trascorrono i minuti, e più questo simpatico ed elegante signore mi dà l’impressione che sia uno di famiglia. Che so… un vicino di casa, un amico, o forse un nipote; una persona che avrei dovuto conoscere, ma che non ho mai incontrato. Non vorrei offrire un’idea sbagliata di me. Anche perché la demenza senile, fortunatamente, ancora non mi ha aggredito. Quindi devo darmi un contegno, e non devo essere troppo invadente. Allora, gli domando quanti anni ha. Ne ho cinquantaquattro, mi risponde senza battere ciglio. Per un attimo, mi blocco e lui si accorge che la sua risposta mi ha sorpreso.... Perché si è stupito della mia età? Mi chiede, c’è qualcosa che non va?.

     Alessandro mi ha fatto ritornare alla mente il mio primo figlio, e glielo dico. L’abbiamo perso esattamente cinquantatré anni fa: eravamo due giovani sposi. Mia moglie ebbe un aborto spontaneo a cinque mesi, quasi sei. Fu un dolore atroce: il nostro primo figlio su cui avevamo riposto tanti sogni era nato morto. Lo chiamammo Alessandro, proprio come lei: adesso lui giace in una cassettina in un loculo del Camposanto principale.

     Lui mi guarda e mentre lo guardo mi si velano gli occhi. Va tutto bene? mi chiede. Sì, va tutto bene stia tranquillo, gli dico. Sa, quel figlio credo che oggi somiglierebbe a lei. Avrebbe la sua stessa età e forse sarebbe diventato un distinto avvocato, proprio come lei e forse avrebbe avuto lo stesso modo garbato che ha lei. E aggiungo, peccato che non ci sia più mia moglie, avrebbe avuto piacere fare la sua conoscenza.

     Alessandro, l’avvocato, mi guarda e mi abbraccia. Mi sarebbe piaciuto avere un padre come lei, mi dice, il mio si chiamava Fausto: è morto in un incidente aereo prima che io nascessi. Quando ero ancora nella pancia di mia madre.

     Non l’ho mai conosciuto…

© Franco Duranti - 8 marzo 2024