Stava assaporando nervosamente il suo toscano, mentre spirali di fumo azzurrognole lo avvolgevano. Con il dorso della mano si lisciava la rada barba grigia e si rigirava il mozzicone di sigaro ai lati della bocca come se stesse succhiando una caramella. Lo stava ciancicando come un bambino addormentato fa col suo ciucciotto.

A quota 2500 metri non sarebbe stato conveniente fumare. Ma non gliene importava. La bionda e spumeggiante birra, che aveva di fronte lo stava rinfrancando dalla faticosa escursione. Il respiro era disteso e il ritmo cardiaco si era normalizzato. Era arrivato fino al rifugio dopo quasi tre ore di marcia forzata, ma voleva proseguire. Voleva andare avanti. Andare oltre per mettere alla prova i suoi limiti all’altitudine. Non era più giovane, ma lui si sentiva ancora forte ed efficiente come quando frequentava quelle montagne da ragazzo.

Si trovava lì, da solo, a cinquantasei anni, e stava cercando di scaricare la tensione che aveva accumulato negli ultimi mesi. Quel rapporto con Clara, che durava dai tempi dell’università e che sembrava così solido, all’improvviso si era sbriciolato. In parte, per colpa sua.

Era franato sotto i suoi piedi, come quelle pietre moreniche, poco prima di arrivare al rifugio Antermoia, mentre arrancava sulla pietraia e gli scarponi gli slittavano.

Era quell’equilibrio che aveva perso con Clara e, ora, affannosamente, faceva fatica a rimetterlo in linea. Ma ci stava provando, perché ancora la amava. O forse, credeva di amarla.

     Era riuscito a trovare un alloggio all’albergo Miramonti, di Alba. Un hotel non modernissimo, ma ristrutturato di recente in tipico stile ladino. I balconi fioriti, le imposte e le ringhiere in legno scuro risaltavano sulla facciata chiara e decorata con motivi alpini. Per tutto il perimetro del fabbricato, i balconi erano inondati da rigogliose petunie viola e bianche che pendevano con allegria dalle fioriere. Tutti quei colori e quell’aria frizzante gli davano un senso di benessere apparente.

     Però lui, nonostante la pace e la bellezza dei luoghi, non stava bene.

Aveva trovato quella sistemazione con un colpo di fortuna. Infatti, in quel periodo di alta stagione gli alberghi della valle erano quasi tutti prenotati. Ma, quando aveva telefonato per chiedere una stanza, una anziana coppia, all’ultimo momento, aveva rinunciato alla vacanza. E, ora Pietro alloggiava in una camera matrimoniale con quel letto troppo grande per un uomo solo.

Era partito all’improvviso: aveva preparato i bagagli in tutta fretta e lasciato l’appartamento ammobiliato dove negli ultimi mesi viveva da solo.

Quindi, era partito e aveva imboccato l’autostrada A14 in direzione nord, senza una meta precisa.

* * *

Quel martedì, di fine luglio, Pietro si era alzato presto, alle cinque. Quando la maggior parte degli anziani villeggianti di quell’albergo stavano ancora dormendo. Non voleva pensarci, ma anche lui, come quegli ospiti, era agli inizi di quell’inesorabile discesa che conduce alla senilità. Nonostante il suo fisico fosse ancora integro e scattante.

Come tutti i giorni, anche quella mattina, si era fiondato sotto la doccia. Il getto d’acqua tiepida, che gli scorreva lungo il corpo, lo stava rianimando da un sonno agitato: quel getto sulla pelle gli stava dando un momentaneo senso di benessere. Ma le parole di Clara continuavano a fare eco nella sua mente. Quelle parole che l’avevano messo di fronte a una realtà alla quale, ancora, faticava a credere. Ma, dopotutto quella decisione di andare via di casa, seppur sofferta era stata presa di comune accordo. Dopotutto, in tanti anni di vita coniugale, erano sempre stati in sintonia e anche quella volta avevano preso la decisione di comune accordo.

     Lei, aveva scoperto il suo tradimento così, per caso. Un bigliettino con un numero telefonico e uno scontrino di una profumeria lasciato in una giacca da portare in lavanderia. La cosa venne fuori perché lui era stato messo con le spalle al muro.

     Quel profumo di Hermès a Clara, lui non l’aveva mai regalato.  

     E Pietro, alla fine, aveva dovuto ammettere il suo tradimento. Aveva provato a giustificarsi dicendo che quella non era stata una cosa importante e che lui amava solo lei. Ma le parole non erano bastate a mitigare il dolore di sua moglie.

     Erano trascorsi quasi due anni dalla scoperta di quella storia e, nonostante i buoni propositi e le sue promesse, la tresca era andata ancora avanti e le cose tra loro non funzionavano più.

     Il loro matrimonio stava affondando lentamente, giorno dopo giorno.

     - Come puoi avermi fatto questo? - le diceva, quando fu sicura delle falsità di Pietro. E continuando a sfidarlo con gli occhi increduli e devastati dal dolore gli ripeteva: - Con quale faccia mi abbracci e mi accarezzi dopo essere stato con quella troia puttana…

     Lei la chiamava così: ormai Lorenza era diventata la sua troia e puttana.

     Lui aveva provato in tutti i modi a giustificarsi, ma non era mai riuscito ad ammorbidire il suo dolore. I suoi lunghi silenzi, nei loro litigi, non facevano che aumentare la rabbia di Clara. I loro scontri erano diventati sempre più frequenti e dolorosi. E alla fine, si erano trasformati in un monologo di Clara. Pietro rimaneva lì, spiazzato senza essere capace di dare una motivazione. La sua anima si era ritrovata nuda, messa all’angolo senza la possibilità di reagire.

     - Parla, dì qualcosa, dimmi che non è vero! Dimmi che è solo un brutto sogno -. Le parole le si strozzavano in gola, mentre lui seduto in poltrona continuava a fissare il bicchiere in silenzio. Quel bicchiere di birra al quale si aggrappava. Non riusciva proprio a trovare le parole giuste per farle capire che tra lui e Lorenza non c’era stato niente d’importante.

     Provava a giustificarsi, ma negli occhi di Clara riusciva a scorgere solo la disperazione e mai un barlume di perdono. Vedeva solo la delusione di un amore spezzato.

     L’amore, che tra loro, si stava trasformando in odio.

     Clara, con gli occhi sbarrati e lacrimosi cercava di darsi una spiegazione a quello che era avvenuto. Però, continuava a inveire senza riuscire a dare più un senso alla loro vita insieme.

     - Perché tu sei un bastardo, e lei una maledetta troia! - Solo rabbia usciva dalla sua bocca….

     Lorenza era stata per lui come un bicchiere di acqua fresca in un arido deserto. Una giovane, bella donna bionda con i capelli fino alle spalle. Lei, si era lasciata assorbire dal fascino dell’uomo maturo. E lui si era dissetato di quel giovane corpo che gli aveva trasmesso una nuova voglia di vita.

     Quella vita che, con il trascorrere del tempo, inesorabilmente gli stava scivolando via.

Prima di andarsene di casa aveva provato ancora una volta a ricucire lo strappo. Per l’ennesima volta, continuava a giustificarsi asserendo che Lorenza non era niente per lui. Ma qualcosa tra lui e Clara si era rotto inevitabilmente. Per rinsaldare il rapporto aveva provato con cene intime, come ai vecchi tempi. Ma negli occhi di Clara la luce era diventata opaca. Si era offuscata come una cataratta che avanza inesorabilmente e ti rende il mondo appannato.

All’inizio, aveva provato a vivere come se non fosse successo nulla. Si comportava da brava moglie e avevano ripreso ad avere rapporti intimi, ma da quegli abbracci non riaffiorava più niente.

Solo delusione.

Pietro, l’uomo che aveva conosciuto ai tempi dell’università e amato era sparito: era diventato un estraneo, anche se era il padre dei suoi due figli. L’aveva di fronte, ma non era più lo stesso. Quel Pietro che aveva conosciuto trent’anni prima.

Non sapeva se l’amasse ancora. Forse, sì. Lo amava ancora troppo, ma aveva bisogno di capire. Voleva fare chiarezza dentro di sé. Per questo gli aveva sbarrato la porta di casa costringendolo ad allontanarsi per un po’ dalla sua vita.

* * *

     Aveva parcheggiato il fuoristrada fuori dal paese. Aveva calzato gli scarponi e si era caricato in spalla lo zaino preparato accuratamente la sera prima. Imboccò con determinazione il sentiero 580, che parte dal centro abitato di Mazzin e che conduce in val Udai. Erano trascorsi quasi trent’anni dall’ultima volta che lo aveva affrontato insieme a lei, ma non se lo ricordava così duro. Il suo fisico non era più quello di allora e stava percorrendo quel dislivello costeggiando il torrente che scendeva rumorosamente. Mentre procedeva a fatica, ogni tanto, alzava lo sguardo verso il cielo azzurro. Ma riusciva a vederne solo uno spicchio: le rocce a strapiombo a destra a sinistra lo sovrastavano. Lo scroscio garbato, dei salti d’acqua cristallina, accompagnava la sua faticosa salita.

     Passo dopo passo, pietra dopo pietra si stava inerpicando solitario.

     Aveva iniziato l’escursione alle sei. L’aria pungente e l’acquazzone della notte aveva abbassato la temperatura. Il suo respiro regolare e i suoi passi cadenzati erano l’unica presenza umana in quell’orrido.

     Non un rumore estraneo.

     Solo i suoi passi cadenzati, uno dopo l’altro, aggredivano il ripido sentiero ombreggiato da abeti e larici, accompagnando quell’impervia ascesa. Il lieve fruscio delle chiome degli alberi gli carezzavano la mente.

     Stava godendo di quell’impresa temeraria e i suoi pensieri erano celati dall’immensità del paesaggio che lo sovrastava. Procedeva con determinazione come se, lassù in cima, ci fosse qualcuno che lo stesse aspettando per dargli una spiegazione. Ma era lui, che stava affrontando quel viaggio, per cercare di capire.

     A poco a poco, mentre risaliva, cominciava a percepire sulle gambe il peso del forte dislivello che ad ogni passo diventava più impervio. Si fermò un attimo per rifiatare.

     Alzò gli occhi: ad una distanza di circa venti metri, in alto sulla sua sinistra, un cervo solitario, lo stava osservando mentre si abbeverava in una pozza d’acqua cristallina. Solo il tempo di ammirare il suo poderoso palco di corna per poi scomparire nel fitto del bosco.

     Riprese la salita e, gradatamente le pareti di roccia cominciavano ad allargarsi. La valle finalmente si stava aprendo al suo sguardo. Una distesa a perdita d’occhio di rigogliosi prati, punteggiati di colorate orchidee, ranuncoli, negritelle e flora d’alta quota, stava ricompensando il suo sforzo.

     Ora, procedeva con passo deciso, sotto un sole alto e implacabile in quella verde vallata. In lontananza il suono di un campanaccio di mucche al pascolo. Copiosi rigagnoli d’acqua trasparente serpeggiavano nel verde e si rincorrevano lasciando alle spalle il ghiacciaio dell’Antermoia.

     Procedeva sicuro e i fischi delle marmotte annunciavano il suo passaggio. Ne vide una poco lontano: riuscì a scorgerla solo perché si era mossa dalla sua postazione. Il suo goffo andamento aveva rivelato la sua presenza in prossimità della tana. Altre, senza farsi scorgere, continuavano a chiamarsi fuori dai nascondigli. Nulla, solo l’eco di richiami lontani.

     La fatica del viaggio, ormai, gli pesava sempre di più sulle gambe.

     Al rifugio Antermoia arrivò quasi a pezzi. Il sole alto di metà mattina picchiava duro. Molti escursionisti che provenivano dal Vajolet e dal Catinaccio, direzione opposta alla sua, si erano fermati al rifugio per rifiatare ed erano ripartiti.

     Si adagiò sull’erba. La maglietta che indossava era intrisa di sudore; il peso dello zaino incollato alla schiena aveva impedito la normale traspirazione. Si spogliò in tutta fretta e ne indossò una gialla asciutta che sfilò dallo zaino. L’altra la stese, al sole, sulla staccionata che delimitava il rifugio. Per un attimo rimase lì, a torso nudo con il petto e i bicipiti, ancora tonici, in bell’evidenza.

     Notò, su di sé, due occhi che lo scrutavano e incrociò quelli di una giovane ragazza che stava studiando una carta. Era seduta sulla panca con la KOMPASS aperta sul tavolo: di tanto in tanto appoggiava lo sguardo su di lui.

     Pietro se ne accorse e le si avvicinò. Era stato tre ore senza incontrare anima viva, a parte il cervo e la marmotta. Aveva voglia di scambiare qualche parola: – Ciao! – le disse – Sei arrivata fin qui da sola? - Lei lo guardò un po’ perplessa e gli sorrise, mentre stava addentando una barretta energetica.

     – Ti sembra strano che sia riuscita a farlo? – rispose, smettendo di masticare. Sembrava quasi infastidita da quella domanda. Lei era molto più giovane, di lui. Circa trent’anni. Dal suo zaino appoggiato sotto la panca pendevano un casco rosso e una matassa di corda colrata da roccia con vari moschettoni che penzolavano.

     – No, affatto! – continuò lui –- Anch’io alla tua età mi arrampicavo… piacere Pietro!

     – Ciao, sono Sara, ma vedo che anche tu sei solo! – gli rispose porgendogli la mano.

     – No, hai ragione… prendi qualcosa da bere? - la interruppe – Io, un’altra birra, anche tu?

     – Una birra? A 2500 metri di quota? Meglio un tè. Grazie!  

     Il naso arrossato e spalmato di crema bianchiccia la rendevano un po’ ridicola: sembrava un clown. Però i suoi bei lineamenti lo avevano colpito. Gli occhi verdi e la sua sicurezza in quel viso lentigginoso da ragazzina lo avevano trapassato. Gli zigomi alti e sporgenti si stagliavano su un ovale perfetto incorniciato da capelli rossicci pettinati a caschetto.

     Potrebbe essere stata sua figlia con qualche anno di più. – Pensò.

     – Forse, hai ragione tu. – disse continuando a fumare e appestando la purezza di quell’aria super ossigenata.

     – Quel sigaro, poi…? – continuò Sara – Non è che c’entri molto con questo ambiente! -.

     Con la sua aria da saccente lo stava mettendo alle corde.

     Con due risposte precise, da “maestrina”, lo aveva messo a tacere. Lui, che era arrivato fino a lì con buoni propositi e per mettere alla prova se stesso. Quel viaggio, per lui, era come una sfida e gli sembrava di poter spaccare il mondo.

     Ma quella ragazza, dall’aria da saputella, con poche battute l’aveva messo KO. Sara lo stava mettendo di fronte ad una serie di cose da evitare in montagna. L’aveva anche rimproverato anche per la stella alpina che sbucava dal taschino del suo giubbino.

     – Lo sai che la flora è protetta, vero? – gli disse puntando lo sguardo verso l’edelweiss che spiccava sulla tela verde.

     – Ti riferisci a questa? – indicando il corpo del reato.

     – Già! – rispose.

     – Non dirmi che sei una guardia forestale... – guardandola stupito.          

     – Sono fuori servizio, ma potrei anche multarti!

     – Hai intenzione di farlo?

     – Perché no! - disse, guardandolo con un lieve sorriso ironico. E aggiunse: – Potrei, se volessi.  

     – Va bene, sono colpevole. Arrestami pure!

     – Sei perdonato, se mi offri un tè – disse sorridendo e mettendo in luce una dentatura bianca come una fila di perle.

     Pietro, nel frattempo, aveva schiacciato contro voglia il toscano sotto lo scarpone. Come aveva detto Sara: in quell’ambiente il sigaro non è che c’entri poi molto.

     Si diresse all’interno della costruzione di pietra per ordinare le bevande, mentre lei riprese a scrutare la sua cartina con attenzione. Il rifugio lentamente si stava popolando di escursionisti in arrivo.

Poco dopo Pietro riapparve con le due tazze di tè fumanti cercando di tenerle in equilibrio.

– Eccoti servita! – le disse, lo appoggiò sol tavolo e si sedette al suo fianco.

Mentre stava mescolando il suo tè, Sara fermò la sua attenzione in alto, in direzione quasi verticale. Sopra la testa di Pietro.

– Grazie del tè! – E continuò: – vedi là in fondo, in direzione del lago?

– No, cosa? Vedo gente in arrivo!

– Alza lo sguardo... –  le disse.

Lui alzò gli occhi, ma non riusciva a scorgere altro che morbide nuvole di bambagia che galleggiavano nell’azzurro. Il cielo era cosparso da fiocchi bianchi e nel tardo pomeriggio, di sicuro il tempo sarebbe mutato.

– Là, in direzione del lago… sali su, con gli occhi. – e aggiunse: – Ci sei?

– Un corvo! – Pietro disse sicuro.

– Un’aquila… – e continuò: – sta puntando la sua preda. Forse una marmotta.

Dopo pochi attimi vide l’enorme rapace che iniziava a scendere disegnando spirali sempre più strette.

Poi, uscì dalla sua visuale.

***

Era tornato da poco dalla vacanza, la città era ancora più calda di quando era partito: seduto in poltrona stava sorseggiando la sua fresca birra. Con lo sguardo fermo sulla schiuma, ripensava al sentiero 580: alla sua difficoltà nell’affrontarlo, al cervo che si dissetava, mentre lui con lo zaino arrancava. E ricordava Sara, quella ragazza dai capelli rossicci che lo aveva messo alle corde, e all’aquila alta nel cielo che piombava sulla sua preda.

Intanto, la birra doppio malto che teneva in mano si stava riscaldando.

Nella sua testa riecheggiava ancora tutta l’asprezza della voce di Clara che lo aveva buttato fuori di casa senza dargli un’altra opportunità. Forse non lo avrebbe fatto mai. Ripensava i suoi due figli, ormai maggiorenni, che studiavano fuori città e non avevano più tempo per lui. Agli anziani villeggianti dell’albergo Miramonti che stavano aspettando inesorabilmente il lento trascorrere del tempo. A Lorenza, la sua ex amante, che continuava a dirgli che non poteva vivere senza lui.

Suonò alla porta.

I suoi pensieri furono interrotti: il postino doveva consegnare una raccomandata.

Aprì, firmò la ricevuta, salutò e richiuse in fretta per non far entrare il caldo.

 

© Franco Duranti - 2016