È una tiepida giornata di metà agosto. Contro ogni previsione mi ritrovo catapultato in un ambiente tipicamente campagnolo. Domo, è il paese dove mi sono imbattuto quasi per caso e dista circa mezz’ora d’auto da Jesi. Per raggiungerlo ho percorso strade contorte che si inerpicano sulle colline che a tratti assumono le caratteristiche tipiche di un paesaggio di montagna. Luoghi che non conoscevo, ma che dovrebbero essere visitati per la loro bellezza e genuinità.

Appena parcheggiata l’auto in una minuscola piazzetta, di fronte alla vetrina di un emporio, m’imbatto all’improvviso in volti e personaggi nuovi, sconosciuti. Persone che, probabilmente, vivono in queste campagne e parlano tra di loro con un vociare allegro. Risate sincere e pacche sulle spalle.

Subito capisci che qui non ci sono né fronzoli né orpelli.

Gli abitanti di questo posto sembrano appartenere ad una dimensione diversa dalla nostra che proveniamo dalla città a valle.

Hai subito l’impressione che qui, in questo angolo sperduto tra campagna e bassa montagna, tutto sia puro. Anche il sudore della gente che mi passa a fianco ha un odore diverso dal nostro. Sa di polvere, di fatica, di campi, di crudo lavoro. Di vino. Ha una sua spiritualità, verace.

Gli effluvi del corpo non sono contagiati da deodoranti chimici. Da creme emollienti e idratanti. Da spray e roll-on che dovrebbero dare la sensazione dei essere immersi nei mari dei Caraibi, oppure di far parte di un jet-set che non ci appartiene. In queste persone non c’è la ricerca spasmodica di apparire per ciò che non si è.

Gli abiti che indossano non sono griffati, ma sono quelli puliti della festa. Magari, un po’ fuori moda, ma portati con dignità, senza ostentazione. Sembrano usciti dall’armadio per l’occasione. Emanano un profumo antico, di sapone di Marsiglia. Stirati di fresco per questa festa paesana così speciale, dove tutti si ritrovano in allegria. E, forse, anche per salutare un’estate che lentamente ci sta lasciando.

Io, che provengo dalla città, dovrei sentirmi a disagio in questo ambiente che non mi appartiene, ma non provo questa sensazione. Suppongo che anche le mie remote radici affondino nella terra; come queste persone che la abitano e mi circondano.

Mi danno la certezza di appartenere anche a loro. In fondo, tutti proveniamo dalla terra e, forse la vita caotica di oggi ce l’ha fatto dimenticare.

La festa si protrae, ormai da due giorni e sembra che tutti abbiano voglia di continuare a divertirsi. Per un po’ sembra che la gente voglia dimenticarsi del gravoso lavoro che la terra impone.

E, s’immerge in questa catartica orgia di spensieratezza.

La musica allegra e sgangherata, da balera, accompagna festosamente la serata. Mentre la folla fa la fila ordinatamente negli stand gastronomici dove vengono serviti ricchi e succulenti piatti tipici della cucina contadina marchigiana.

Piatti ricchi, di grassi, di condimenti, di sapori forti. Sapori che in città ormai sono in disuso e che un tempo costituivano l’alimentazione dei nostri nonni e bisnonni. Oggi, purtroppo, la vita veloce della città e la competizione ci impone diete ipocaloriche, diete vegetariane, vegane, diete volumetriche, dissociate, diete dukan.  

Per non parlare, poi, di colesterolo, trigliceridi, ipertensione che affliggono le nostre giornate.

Ebbene qui, in questa festa rurale tutto ciò è bandito. Dimentichiamoci e mettiamoci in fila per godere, una volta tanto, di quello che la vita cittadina non ci offre più.

Il menù è ricco e ho l’imbarazzo della scelta. Non so decidere se prendere un piatto di tagliatelle o di gnocchi con sugo d’anatra o di cinghiale. Oppure una bella polenta fumante condita con sugo di papera, e spolverata con una generosa manciata di parmigiano.  

Poi, per il secondo, sono ancora più titubante. Non so ancora se tuffarmi su un bel piatto di fagioli con le cotiche (sono circa trent’anni che non li mangio!) o sul castrato alla cacciatora, a vederlo sembra invitante con quel sugo denso e profumato.

Oppure ripiegare sul classico coniglio in porchetta o sulle classiche salsicce alla brace o bistecca con patate fritte. E, intanto che le mie scelte sono alquanto vacillanti, mi butto su due invitanti crostini di fegato d’anatra.

E, affanculo il colesterolo!

Un ottimo verdicchio fresco di frigorifero accompagnerà con garbo le mie pietanze. E, questa aria piacevolmente tiepida, contribuisce alla sua discesa in gola. Scende come un diretto, come un treno. E, non dà alla testa.

***

Mentre sono alle prese con le mie due salsicce fumanti, dal piccolo palco ogni tanto si alza una nuvola bianca di fumo sintetico. No, non sono i Pink Floid. È la solita band sgangherata delle sagre che con la consueta cadenza continua ad accompagnare la cena e invita i commensali a gettarsi in pista. Invano.

Ormai sono tutti troppo impegnati a spazzolare i loro piatti prelibati. La gente affamata, accanto al bordo della pista di cemento, ha preso posto su lunghi tavoli di legno, sotto un tendone. Rumorosamente e in allegria, sta già arrotando coltelli e forchette di plastica e, di tanto in tanto, lancia occhiate distratte verso il musicista implorante.

Risate grasse e rumorose, chiacchiere, bicchieri rovesciati. Gli schizzi di sugo inesorabilmente punteggiano le camicie appena stirate. Occhiate ammiccanti di giovani bulletti, verso adolescenti in minigonna alle prese con il loro smartphone. Famiglie con ragazzini al seguito che, schiamazzando come oche in mezzo all’aia, si rincorrono sulla pista e si esibiscono in indecifrabili balli. Le donne anziane, con i loro abiti scuri a fiori della festa, hanno abbandonato la cascina. Si appoggiano al bastone piegate per la troppa fatica nei campi. Ora, siedono seriose vicino al capoccia, a capotavola, mentre la musica continua nella sua lamentosa allegria.

Finita la lauta cena, a poco a poco la gente si alza dai tavoli e, quasi timidamente, si avvicina alla pista. Una giovane coppia di trentenni rompe il ghiaccio. Si muove con eleganza e piroetta con passi decisi che scivolano sicuri. La musica, che è stata di sottofondo alla libagione, ora assume un tono più dignitoso. La giovane cantante, con un marcato accento romagnolo, è comparsa come per magia dal fumo bianco da dietro il palco e invita a buttarsi nella mischia. In pochi attimi l’appello viene accolto: la balera ora pullula di coppie di tutte le età che si muovono rapide e si rincorrono, a volte scontrandosi.

Io che non amo ballare, mi siedo al margine. Accendo il mio toscano e, tra le nuvole bluastre che si diffondono nell’aria, osservo divertito.

Una coppia, intorno alla sessantina, attira subito la mia attenzione: lui, “il cavaliere rampante”, con camicia a scacchi da montanaro, conduce la dama con eleganza e sicurezza. Al contrario lei, poverina, sembra avulsa: il suo sguardo è fisso e perso nel vuoto.  Sembra assente, come se una forza misteriosa la stesse conducendo verso l’ignoto. Un’altra coppia, anch’essa non più giovanissima, danza tagliando la pista in diagonale, incurante, di chi si trova disgraziatamente sulla loro traiettoria. Come due bulldozer , avanzano senza badare a precedenze. L’enorme “culone” dell’anziana sessantenne, compresso in ridicoli fuseaux neri, mi ricorda il respingente ancorato sulla banchina del molo. Così procedendo, nella sua performance, si fa largo tra la gente.

In quest’aria festaiola tutto è lecito, tutto è permesso. Per goderla, non servono abiti da sera lunghi con lustrini e paillettes, collane di perle, scarpe di vernice e tacchi a spillo. Per divertirsi insieme, basta una maglietta e un jeans; un paio di scarpe da jogging, una canottiera e un paio di sandali di gomma.

Va tutto bene. L’importante è stare in allegria!

E, mentre tutti si divertono, anche quei ragazzini, che poco prima sciamavano nella pista vuota, ora ballano sgraziati insieme agli adulti. Una fanciulla, di circa dodici anni, si mette in bella mostra eseguendo una serie di ruote sul bordo pista. Il rischio di dare un calcio in bocca a qualche ballerino distratto non è affatto remoto. Ma loro, abilmente evitano lo scontro e, lanciando occhiate compiaciute, sembrano apprezzare l’esibizione ginnica.

Lentamente, tra l’allegria generale, valzer e mazurke, la serata volge al termine.

Nonostante la dieta ipercalorica, la mia digestione non ha avuto problemi collaterali. Sarà stata forse l’aria pulita della campagna, o forse il cibo grasso ma genuino o il vinello fresco. Ma una serata estiva così divertente la ricorderò per un bel po’!

E chissà? Forse l’anno prossimo sarò di nuovo qui…

© Franco Duranti - agosto 2015